Sindrome dell’intestino irritabile

Medicina

La sindrome del colon irritabile (IBS-C) è una patologia a larga diffusione. Provoca dolore e disagio importanti ed è di grande ostacolo alla vita quotidiana. Le terapie ci sono, ma sono a carico del paziente il quale troppo spesso ricorre all’automedicazione e a terapie sintomatiche inefficaci. Per un 5% di chi ne soffre,  la sintomatologia è così grave da essere invalidante.

Intervista a Enrico Stefano Corazziari, Professore Ordinario di Gastroenterologia presso La Sapienza-Università di Roma

Professor Corazziari, che tipologia di sintomi riportano questi pazienti definibili come gravi? «Sicuramente costipazione e un dolore addominale così forte da creare sofferenza e allarme. Non a caso si registrano numerosi accessi al pronto soccorso».

In questi casi, se non trattati, sono possibili complicanze? «Sicuramente. La ritenzione delle feci produce erosione della parete del colon, possibili ostruzioni con necessità di interventi chirurgici d’emergenza per rimuovere ostruzioni e curare perforazioni intestinali. Il rischio è tanto maggiore quanto è maggiore l’età del paziente, soprattutto se sono presenti altre patologie legate all’età come ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari. In questi casi anche un’IBS-C meno grave diventa pericolosa se associata ad altre condizioni. Spesso, infatti, le terapie per patologie preesistenti possono avere un impatto negativo proprio sulla salute gastrointestinale».

Le conseguenze di un’IBS-C possono anche essere psicologiche. È corretto? «Sì. La patologia in genere insorge da bambini e questo spinge il soggetto sin da piccolo ad abituarsi alla malattia, spesso influenzando negativamente le sue relazioni sociali: l’insorgere del dolore è infatti imprevedibile. Ma l’evitamento degli altri può provocare depressione. Si dice spesso che questa patologia è psicosomatica: in realtà è più frequente che sia il corpo a influenzare la mente».

Nell’IBS-C c’è maggiore rischio di incorrere in patologie gravi, come il tumore al colon? «Fortunatamente no. Tuttavia, è una patologia che può confondere persino i medici e portare a diagnosi sbagliate. Ad esempio sappiamo che in questi pazienti c’è una maggiore incidenza di interventi chirurgici addominali inappropriati: nel ricercare la causa del dolore si sottopone il soggetto a interventi come la colecistectomia, l’isterectomia o l’appendicectomia. L’altro problema è che nell’IBS-C il paziente tende a convivere con la sintomatologia e quindi fa scarsa attenzione ai sintomi addominali. Così può capitare che, nel caso insorga una patologia importante come un tumore, il paziente tenda a ignorarne i primi sintomi ritardando la diagnosi».

Quanto passa mediamente dai primi sintomi alla diagnosi di IBS-C? «Dipende dall’esperienza del medico. Più è esperto, meno ha necessità di ricorrere a diagnosi per esclusione. Il primo step è la valutazione dei fattori di rischio per patologie gravi. A chi non ne ha, ma mostra i tipici segni dell’IBS-C, il medico dovrebbe limitarsi a prescrivere esami per escludere altre patologie: il test dell’intolleranza al lattosio, il test della celiachia e il dosaggio della calprotectina fecale per escludere una malattia infiammatoria cronica (morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa). Ai pazienti con più di 50 anni invece è comunque consigliata una colonscopia. Solo seguendo questi step si evitano costi inutili a carico del Sistema ed effetti iatrogeni prodotti da esami invasivi inappropriati».

Quanto conta, nella diagnosi, il ruolo del medico di medicina generale? «Moltissimo. Pensiamo che solo il 5 per cento dei pazienti con IBS-C si rivolge in prima battuta al gastroenterologo. Il medico di medicina generale dovrebbe quindi prestare grande attenzione ai sintomi del paziente, dedicandogli il tempo necessario. Inoltre il medico di base, a differenza del gastroenterologo, in genere conosce già il paziente e il suo stato di salute generale: questo dovrebbe aiutare».

Professore, nell’IBS-C esiste un problema di automedicazione e di terapie inadeguate. Cosa comporta tutto ciò? «I principali sintomi dell’IBS-C sono stipsi e dolore addominale; tuttavia, i farmaci spesso prescritti dai medici stessi o scelti dal paziente in autonomia agiscono solo su uno dei due sintomi e tendono a peggiorare l’altro: un lassativo migliora la stipsi ma peggiora il dolore, un antispastico migliora il dolore ma peggiora la stipsi. L’alternativa fino a oggi era costituita dagli antidepressivi, con un’azione sul sistema nervoso centrale. Tuttavia, anche questi sembrano agire più sul dolore che sulla stipsi. Le nuove molecole oggi disponibili sembrano invece dare un sollievo importante su entrambi i versanti; tuttavia, hanno un costo a carico del paziente. In questo senso, e proprio per i pazienti più gravi, sarebbe importante che queste terapie fossero dispensate dal Sistema Sanitario Nazionale, magari su esclusiva prescrizione dello specialista».

 

Stefania Bortolotti

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