cuore per diabete

Paziente diabetico a rischio cardiovascolare e metabolico

Avanzano le malattie croniche: nel 2020 rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo. Il diabete è tra quelle a più rapida crescita. In Italia permangono gli ostacoli per i farmaci innovativi contro il diabete.

Questo tema è stato affrontato a Roma nel corso del workshop istituzionale “Il paziente al centro – La gestione integrata della cronicità”, organizzato con il contributo non condizionante di MSD (www.msd-italia.it)  nell’ambito del progetto #Insiemeperilcuore: rappresentanti delle Istituzioni e specialisti si sono confrontati sul diabete e le malattie cardiovascolari.

Tra le sfide alle quali è chiamato a rispondere il sistema sanitario c’è sicuramente il diabete, una delle malattie croniche a più rapida crescita, che in Italia colpisce circa 3.600.000 di persone e che entro il 2035 sfiorerà in Europa il tetto dei 70 milioni di pazienti, contro gli attuali 52 milioni.  Dei pazienti italiani, solo 1 su 3 ha un adeguato controllo del diabete mentre gli altri vanno incontro alle complicanze della malattia: si stima che il 50% dei pazienti muoia a causa di malattie cardiovascolari, il 10-20% per insufficienza renale, mentre il 10% subisce un danno visivo. Tra le persone anziane con diabete di tipo 2 gli eventi cardiovascolari legati alle complicanze della malattia sono la principale causa di mortalità: il 70% dei decessi in questa fascia d’età è dovuto ad un evento cardiovascolare, in primis infarti e ictus.

Altissimo l’impatto economico per il Servizio Sanitario Nazionale, con costi complessivi, diretti e indiretti, stimati in 20,3 miliardi di euro l’anno. Ma l’attuale gestione del diabete non valorizza il ruolo di riferimento del medico di medicina generale che, insieme al medico specialista, rappresenta il perno attorno al quale ruota una corretta gestione integrata del paziente e ne limita la libertà prescrittiva lasciando nel suo armamentario terapeutico, oltre alla classica metformina, le sole sulfoniluree che, secondo i dati della letteratura scientifica, aumentano il rischio cardiovascolare e la mortalità rispetto ai farmaci di più nuova generazione come per esempio i DPP-4 inibitori. Il paradosso è che questi farmaci, nonostante il comprovato profilo di efficacia e sicurezza, possono essere prescritti soltanto dallo specialista diabetologo, negando così l’accesso alla terapia per un numero elevato di pazienti o affollando inutilmente i centri di Diabetologia per la prescrizione di questi farmaci.

Un’effettiva presa in carico del paziente da parte del Medico di Medicina Generale, con la possibilità di prescrivere tutti i farmaci, inclusi quelli innovativi, sarebbe un’opportunità per ridurre l’impatto crescente del diabete e favorire una più ottimale gestione delle complicanze. Ma questa indicazione, sostenuta da anni dai medici, specialisti e di famiglia, e dai pazienti, non è ancora stata accolta. Un altro fronte aperto della cronicità riguarda le persone colpite da Sindromi Coronariche Acute (SCA) che, una volta superata la fase acuta dell’infarto, diventano a tutti gli effetti pazienti cronici a rischio cardiovascolare elevato. La gestione della fase di follow up dopo l’episodio acuto non è soddisfacente: la mancanza della continuità nel percorso tra Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) e territorio non supporta il paziente, ostacola il controllo di un fattore di rischio fondamentale come il colesterolo LDL e fa crescere la percentuale di ricadute e riospedalizzazioni.

Ogni anno in Italia si registrano più di 135.000 eventi coronarici acuti, dei quali un terzo risultano fatali. Nei primi due anni successivi all’infarto la probabilità di essere nuovamente ricoverati è superiore al 60% dei casi e il 30% di questi è dovuto ad una nuova sindrome coronarica acuta. Nel primo anno dopo l’evento coronarico acuto la mortalità extraospedaliera raggiunge il 12%, e di questa il 10% è dovuta a recidiva di infarto miocardico. Una delle cause delle recidive è il mancato raggiungimento dei target terapeutici nel controllo del colestesterolo LDL, dovuto anche alla mancata aderenza alla terapia, ridotta del 24% già a 12 mesi dall’evento. Le statine prescritte a dosaggi elevati infatti possono indurre effetti collaterali rilevanti in una percentuale di casi non trascurabile, contribuendo alla sospensione volontaria della terapia da parte del paziente. Per superare questa criticità sarebbe opportuna un’adeguata sensibilizzazione del paziente da parte del medico di famiglia e una sua presa in carico già al momento della dimissione dall’UTIC, per impostare e concordare la strategia terapeutica più efficace e meglio tollerata, anche utilizzando terapie ipocolesterolemizzanti in grado di raggiungere i target terapeutici come le recenti terapie di associazione con ezetimibe.

 

Stefania Bortolotti

 

 

 

Condividi