Le difficoltà a diventare mamma

Salute

Denatalità in fortissimo aumento ma soprattutto grandi difficoltà a diventare madri: “ ¼ delle donne italiane non diventerà mai mamma, ¼ incontra serie difficoltà e sempre più spesso si rivolge alla procreazione assistita. Solo ¼ procrea con semplicità”.  E’ quanto osserva il Prof. Andrea Genazzani, Segretario Generale della Accademia Internazionale della Riproduzione Umana, il cui Congresso si è svolto a Roma nel marzo scorso.

“Oggi -dice il Prof. Genazzani – abbiamo una chiave di lettura diversa da quello che comunemente si afferma sulla mancata procreazione. Non sono solo le difficoltà socio-economiche e lavorative a rendere difficile la maternità, ma è soprattutto il vissuto personale della donna stessa a incidere sulla possibilità di realizzare il suo desiderio di maternità. Questo a partire dalla età del primo figlio sempre più spostata in avanti e che spesso non coincide con il suo orologio biologico il cui picco di massima  fecondità è tra 16-22 anni. Incide e molto – ribadisce il ginecologo- quel lasso di tempo troppo lungo tra la prima mestruazione e il momento della procreazione: 15-20 anni in cui possono accadere molte cose, dalla comparsa della endometriosi alla presenza di fibromi, storie di infezioni genitali ricorrenti e malattie  sessualmente Mamme a oltre 30 anni (il dato medio italiano è di 30,1) è espressione di molte cose: diabete, obesità, ipertensione, stress lavorativo: certo compagni non facili per realizzare quel progetto di vita che include la nascita di un figlio.

E allora come aiutare la donna in difficoltà? L’Accademia Internazionale della Riproduzione Umana, nata nel 1974 a Rio de Janeiro, cui aderisce l’eccellenza italiana e straniera sui temi della procreazione naturale e assistita, ha organizzato diversi Focus sui temi più stringenti e attuali della riproduzione. Dal 15% del passato all’attuale al 50-60% di successo di portare a termine una gravidanza con la procreazione assistita: come si è arrivati a questo importante risultato?

Tre i momenti delicati e i passaggi per giungere alla gravidanza desiderata:  la personalizzazione della stimolazione ovarica controllata, la conoscenza delle caratteristiche dell’invecchiamento ovarico e terzo, l’osservazione continua delle prime fasi di sviluppo dell’uovo fecondato.

Un solo embrione massimo due è la nuova indicazione condivisa dagli esperti della riproduzione umana da trasferire nell’utero della donna.

“E’ preferibile – dice il Prof Pedro N Barri, Direttore del Centro Dexeus per la salute della Donna, di Barcellona – trasferire un solo embrione se la donna ha meno di 35 anni, due se di età superiore. L’esperienza ci ha dimostrato che il trasferimento di più embrioni  ha sempre comportato parti gemellari addirittura trigemini  con gravi danni per la salute della mamma e dei bambini. Questi piccoli spesso nascono prematuri, di basso peso e portatori di malattie. I rimanenti ovociti si fanno maturare fino a diventare blastociti. la successiva fase prevede il loro congelamento e utilizzo per una successiva gravidanza in caso di mancato attecchimento dell’embrione.  Si potrà così, – specifica il professor Barri – con tecniche di osservazione controllata nel tempo, selezionare quell’embrione che ha la massima potenzialità biologica e garantire  una sola gravidanza a termine. Certamente bisognerà dare precedenza  a quei centri che hanno la tecnologia di garantire e selezionare  quegli embrioni che esprimono la massima potenzialità biologica.

”Embrione selezionato ma anche studio delle caratteristiche dell’invecchiamento dell’ovocita. E’ noto che la fertilità femminile diminuisce con l’aumentare dell’età e in parallelo si è sempre più spostata in avanti l’età della prima gravidanza, oltre i 30 anni.” Questa posticipazione – osserva Pasquale Patrizio Professore al Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia alla Yale University e Direttore del centro per la fertilità – comporta a che vi sia una parte molto consistente di donne che ricorre alla procreazione medicalmente assistita anche per la diminuita produzione di follicoli cui si accompagna una minore qualità ovarica. Lo studio delle caratteristiche dell’invecchiamento ovarico è fattibile con specifici marker, in particolare il  Fattore anti-mulleriano.  Non dimentichiamo – ricorda il ginecologo – che anche lo spermatozoo diminuisce in qualità con l’aumentare dell’età maschile per cui lo spermatozoo di un trentenne non sarà mai uguale a quello di un cinquantenne e oltre”.

Il terzo importante passaggio è lo studio in continuo delle prime fasi di sviluppo dell’uovo fecondato. Questa procedura  viene effettuata all’interno di incubatrici  attraverso l’utilizzo di minuscole telecamere che fotografano momento per momento e durante le 24 ore, lo sviluppo cellulare dell’uovo fecondato, in modo da poter selezionare per  impiantare quello cha ha dimostrato la  massima potenzialità di evoluzione e di impianto.

Pensari ora! Non è uno slogan ma l’espressione di una nuova e crescente realtà sociale: appunto il “social freezing”. Sono donne, spesso impegnate nella carriera, che sanno di poter  desiderare un figlio avanti con l’età anche oltre i 40 anni. La scienza offre loro l’opportunità di avere una maternità con i propri embrioni utilizzando il congelamento degli ovociti. Congelamento effettuato non a 40 anni ma a 30 anni o poco più.“

Quella percentuale di successo dell’8%- dice il Prof. Andrea Genazzani ottenuto in donne quarantenni sale al 35-45% quando si utilizzeranno ovociti raccolti e congelati prima dei 34 anni. La donna realizzata nel lavoro e anche nella vita affettiva potrà avere una gravidanza addirittura con embrioni giovani nati dalle sue giovani uova. D’altronde il congelamento di ovociti  è già una tecnica ampiamente consolidata e usata per tutte quelle giovani donne affette da tumore o altre malattie  i cui trattamenti specifici distruggono il tessuto ovarico rendendo pressoché impossibile una gravidanza. Ora dopo i trattamenti queste donne, possono concepire un figlio utilizzando il proprio ovocita congelato.”

La chiamano epidemia da diabete gestazionale (+ 7% nelle donne italiane) e di obesità in gravidanza.  In questa fase l’inevitabile aumento della glicemia e della insulina porta ad una iperalimentazione del nascituro, il quale avrà sempre nel corso della vita l’imprinting biologico di questa abbondanza di cibo materna. La conseguenza sarà che il piccolo sarà un adulto obeso e portatore di  malattie dismetaboliche.

 

Stefania Bortolotti

 

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