Tumore ovarico, il caso “gene Jolie”

Salute

Tumore ovarico, bisogna garantire alle pazienti l’accesso al test per individuare la mutazione del gene Brca – il cosiddetto “gene Jolie”, dal nome dell’attrice che dopo aver scoperto di essere portatrice della mutazione espressione del tumore ovarico ha scelto di sottoporsi a chirurgia preventiva – potrebbe significare terapie più efficaci e uno screening preventivo anche nel resto della famiglia: ottenere però tale test in Italia, risulta una strada in salita ancora per una paziente su tre. A lanciare l’allarme sono stati i medici in occasione del Corso di Formazione Professionale: “Il Caso Gene Jolie: Come Comunicare con Chiarezza e Rigore le Opportunità dei Test Genetici nella Lotta Contro il Tumore” promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza SGP – La Scienza nella Pratica Giornalistica, con il supporto non condizionante di AstraZeneca e MSD.

Secondo gli specialisti, il test andrebbe eseguito su tutte le donne con tumore all’ovaio, come prevedono anche le linee guida dell’Associazione italiana di Oncologia Medica (Aiom). Nonostante ciò, in molti casi accedere al test è un percorso ad ostacoli: diversi sono infatti i regimi di rimborso nelle varie regioni e non sempre sono disponibili laboratori di riferimento. Da qui l’appello degli oncologi per una informazione e un impegno maggiori da parte delle istituzioni nei confronti di una patologia altamente letale.

Il test è rimborsato dal Servizio sanitario nazionale anche nei familiari della paziente ammalata. La mutazione del Brca è infatti ereditaria e aumenta il rischio di ammalarsi di cancro alle ovaie: individuarla in una donna sana che ha però altri casi di tale tumore in famiglia, significa poter mettere in atto fondamentali strategie di prevenzione.

«Oggi – dichiara Sandro Pignata, Direttore di Oncologia Medica Uro-Ginecologica, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli – si raccomanda per tutte le donne affette da carcinoma ovarico la ricerca delle mutazioni BRCA 1 e 2, in tal modo si identificano i casi positivi alla mutazione per i quali è necessario attuare le opportune misure preventive e un follow-up diagnostico molto stretto».

La storia familiare è uno dei maggiori fattori di rischio del carcinoma ovarico a causa della trasmissione ereditaria della mutazione dei geni BRCA.

«Nonostante la percentuale di accesso al test BRCA in Italia superi la media mondiale non è accettabile che per una donna su tre il percorso rimanga difficoltoso – commenta Nicoletta Cerana, Presidente ACTO Onlus – Alleanza contro il cancro ovarico Onlus – ACTO è concretamente impegnata nel sostenere il diritto delle pazienti ad accedere ai test, anche attraverso campagne di sensibilizzazione delle donne, dell’opinione pubblica e delle Istituzioni».

«La valutazione dello stato mutazionale di BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico ha un ruolo fondamentale, non solo per l’identificazione della predisposizione familiare al cancro, ma anche per indirizzare le scelte terapeutiche e l’approccio chirurgico – afferma Giovanni Scambia, Direttore Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino, Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma – le recenti Linee guida italiane hanno ribadito l’importanza della ricerca della mutazione BRCA per tutte le pazienti con carcinoma ovarico non mucinoso e non borderline, carcinoma delle tube di Falloppio o carcinoma peritoneale primitivo ed hanno anche sottolineato come sia preferibile, laddove possibile, eseguire in prima istanza il test somatico, per poi eseguire la ricerca sul germinale in quelle pazienti con esito positivo».

La comunicazione da parte dei media di tematiche così importanti come il tumore ovarico è compito arduo: da un lato si avverte il bisogno di diffondere la conoscenza su questa patologia dall’altro il rischio è quello di cadere nel sensazionalismo fine a se stesso.

«La prevenzione dei tumori non è un argomento amato dai media, perché troppo focalizzato sugli stili di vita che fanno fatica a diventare notiziabili – afferma Adriana Bazzi, giornalista scientifica del Corriere della Sera – poi ci sono i casi particolari, come i test genetici che servono a predire malattie, primo tra tutti i test per i geni BRCA 1 e 2 per il tumore del seno e, in particolare, il tumore dell’ovaio per il quale non esiste diagnosi precoce. I media potrebbero avere un nuovo ruolo, ancora tutto da definire».

È sempre più urgente ricostruire un’alleanza comunicativa tra medici e pazienti dalla quale il giornalismo scientifico può trarre spunti positivi per portare nel modo giusto all’opinione pubblica le conoscenze, i progressi e le speranze.

«La comunità scientifica ed esperti di comunicazione scientifica si sono interrogati molto sull’effetto Jolie, sulla sua portata ed efficacia in termini di prevenzione e migliore cura – sottolinea Letizia Gabaglio, giornalista scientifica – senza dubbio il coinvolgimento di personaggi famosi favorisce la penetrazione del messaggio, tuttavia l’informazione giornalistica non può e non vuole esaurire alcun tema, meno che mai quelli medico scientifici di cui i pazienti dovrebbero parlarne con i medici trovando nuove e diverse forme di comunicazione».

 

Stefania Bortolotti

 

 

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