Al via la campagna Raro chi trova

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La campagna Raro chi trova

Una caccia al tesoro digitale che metterà influencer e utenti sulle tracce di tre rare malattie da accumulo lisosomiale. Perché la rarità può diventare un punto di forza, la maggiore conoscenza può aiutare la diagnosi e la cura e la carenza di informazioni è una sfida da vincere insieme.

Fa leva su questa idea la campagna RARO CHI TROVA – Insieme sulle tracce delle malattie di Fabry, Gaucher e sindrome di Hunter promossa da Takeda Italia (https://www.takeda.com/it-it) con il patrocinio di Società Italiana di Pediatria (SIP – https://sip.it/), Associazione Italiana Anderson Fabry Onlus (AIAF – https://www.aiaf-onlus.org/), Associazione Italiana Gaucher Onlus (AIG – https://www.gaucheritalia.org/)

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e Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi e Malattie Affini Onlus (AIMPS – http://aimps.org/), che viene presentata in coincidenza con la MPS Awareness Day sulla consapevolezza della Mucopolisaccaridosi, che si celebra il 15 Maggio in tutto il mondo.

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Da oggi e nei prossimi 45 giorni nove influencer della rete inviteranno i loro follower a reperire informazioni e indizi su queste malattie disseminati e nascosti in post e storie pubblicati sui loro profili social. Gli indizi saranno svelati alla fine di ogni tappa della Caccia dagli stessi influencer sui loro profili Instagram e sul sito di campagna Rarochitrova.it, che ospiterà la Mappa della competizione. A vincere sarà l’utente più rapido a caricare sul sito, al termine della Caccia al Tesoro, tutti gli indizi raccolti.

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Obiettivo della campagna è diffondere la conoscenza sulla Malattia di Gaucher, la Malattia di Fabry e la Sindrome di Hunter, o Mucopolisaccaridosi tipo II, le tre più importanti delle oltre 50 Malattie da Accumulo Lisosomiale, patologie croniche di origine genetica che si manifestano nei primissimi anni di vita. All’origine vi è un difetto o assenza di uno degli enzimi contenuti nei lisosomi, vescicole presenti all’interno della cellula e considerati come “centri di riciclo” delle sostanze di rifiuto (macromolecole).

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Al via la campagna Raro chi trovaSono considerate malattie rare: i numeri parlano di un nuovo caso su 7.700 nascite ogni anno. Secondo gli specialisti si tratta solo della punta dell’iceberg, perché in realtà queste gravi patologie genetiche ereditarie sono molto più diffuse di quanto dicano le cifre delle diagnosi cliniche, anche a causa di un ritardo nella diagnosi che mediamente può arrivare fino a 10-14 anni.

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«Le Malattie da Accumulo Lisosomiale sono patologie metaboliche dovute ad un difetto di proteine con attività enzimatica che degradano grandi molecole di mucopolisaccaridi e che non funzionando determinano l’accumulo nella cellula di queste sostanze che diventano tossiche e portano a morte la cellula – afferma Maurizio Scarpa, Direttore Centro di Coordinamento per le Malattie Rare, Azienda Sanitaria Friuli Centrale – Queste macromolecole si accumulano nei lisosomi, organelli intracellulari che hanno la funzione di riciclare materiali di rifiuto intracellulari e di partecipare ai processi metabolici. Le Malattie da Accumulo Lisosomiale sono genetiche, ereditate come autosomiche recessive da due genitori portatori sani, ad esclusione della Malattia di Fabry e della Sindrome di Hunter che vengono ereditate per via materna (X-linked). Non è semplice conoscere l’effettiva prevalenza di queste malattie, a causa della mancanza di Registri specifici e dei ritardi nella diagnosi ancora molto frequenti.»

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Il ritardo diagnostico compromette l’intervento terapeutico che, oggi, grazie alla ricerca scientifica, ha a disposizione numerose ed efficaci opzioni che possono mitigare la sintomatologia e migliorare la prognosi. Architrave dell’approccio terapeutico è la terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nell’inserire l’enzima mancante o carente che arriva nei lisosomi e smaltisce l’accumulo di macromolecole.

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Altri approcci terapeutici sono per la malattia di Gaucher gli inibitori del substrato che agiscono a monte dell’accumulo e per la malattia di Fabry la terapia cosiddetta “chaperonica” con piccole molecole che fanno funzionare meglio l’enzima difettoso. Per la sindrome di Hunter, nella quale la terapia enzimatica sostitutiva non supera la barriera emato-encefalica e non raggiunge il sistema nervoso centrale, la ricerca sta sperimentando altre modalità di somministrazione.

Le terapie sono disponibili su tutto il territorio nazionale e non richiedono ricovero, ma possono essere eseguite in regime ambulatoriale o di day hospital. In alcune Regioni italiane è attivo il servizio di cure domiciliari riservate ai pazienti stabili. L’obiettivo è permettere a tutti i pazienti l’accesso alle cure a domicilio e su questo fronte, oltre che sulla ricerca e sull’innovazione terapeutica, è attivamente impegnata Takeda.

«Il nostro impegno al fianco delle persone con malattie rare da accumulo lisosomiale e delle loro famiglie si dispiega su due strade distinte ma parallele – osserva Alfonso Gentile, Medical & Regulatory Director Takeda Italia – Takeda ha nel proprio portfolio più di 40 prodotti che rappresentano approcci terapeutici efficaci in diverse Aree Terapeutiche. Due terzi della pipeline sono rappresentati da farmaci per il trattamento di patologie rare o rarissime. Nell’ambito delle malattie da accumulo lisosomiale Takeda, presente da molti anni con la Terapia Enzimatica Sostitutiva, per la Sindrome di Hunter sta sperimentando una nuova formulazione per la somministrazione intratecale in età pediatrica di una terapia che potrebbe rappresentare un’ottima alternativa per questi pazienti. Supportiamo, inoltre, programmi indipendenti per informare ed educare gli specialisti che non si occupano direttamente di queste patologie, affinché riferiscano più velocemente i pazienti ai loro colleghi specializzati allo scopo di ottenere una diagnosi più rapida ed una terapia adeguata. Takeda interviene anche attraverso programmi di supporto ai pazienti e alle loro famiglie, che hanno avuto una particolare intensità durante il periodo pandemico e soprattutto durante il lockdown della scorsa primavera, ma che erano in buona parte già attivi prima della pandemia. Si tratta di programmi di sostegno domiciliare, sia psicologico che operativo.»

 

Stefania Bortolotti

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